top of page

“EMDR. Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”

  • Immagine del redattore: Produzione Webidoo
    Produzione Webidoo
  • 30 ago 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Di Daniela Petrilli, estratto da “EMDR. Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”, Milano, FrancoAngeli, 2014.


La nascita dell’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR), in italiano Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari, avvenne nel 1987 a opera di Francine Shapiro.


Inizialmente concepita come una tecnica utile per la desensibilizzazione dell’ansia, basata sull’impiego di specifici movimenti oculari, si assisteva, durante il trattamento, anche a una trasformazione in positivo delle emozioni, alla comparsa di insight, e a cambiamenti spontanei delle sensazioni, dei comportamenti e delle valutazioni negative che le persone davano di sé stesse. Si ritenne plausibile che la procedura attivasse anche un meccanismo di elaborazione delle informazioni, oltre a un semplice meccanismo di desensibilizzazione.


L’EMDR inizia a configurarsi come un trattamento integrato che assume in sé elementi teorici e clinici provenienti da differenti approcci psicoterapeutici allo scopo di potenziare l’efficacia e la flessibilità del metodo (Shapiro 1995). Oltre ai movimenti oculari, aspetto di una procedura più articolata che ha come obiettivo l’elaborazione del ricordo traumatico, l’EMDR si arricchirà di un corpus di conoscenze teoriche, cliniche e metodologiche che oggi lo rendono un intervento terapeutico molto complesso.


L’EMDR è, innanzitutto, un intervento efficace sugli eventi traumatici o altamente stressanti, e come tale, interviene su questi target avvalendosi di un modello teorico, il modello dell’Adaptive Information Processing (da ora AIP), che riconosce alla base della patologia i ricordi legati a esperienze di vita traumatiche e i sistemi di elaborazione dell’informazione della mente. Secondo l’AIP gli eventi traumatici producono ricordi disfunzionali non assimilati, all’interno delle reti mnestiche della persona, non accessibili verbalmente e non correggibili solo con la riflessione e la comprensione intellettiva. Il trattamento contempla l’attivazione simultanea di tutti i canali dell’esperienza (cognitivo, emotivo, percettivo e somatico) ma il focus dell’intervento è sempre sul ricordo dell’esperienza o su eventi non elaborati che hanno contribuito a sviluppare la patologia o il disagio che presenta il paziente. Uno dei punti di forza dell’EMDR, il contributo più significativo che può offrire alla psicoterapia cognitiva e alla psicoterapia in genere, consiste nell’aver individuato una modalità per accedere alle informazioni immagazzinate in memoria, stimolarne l’elaborazione e portarle a una risoluzione più adattiva e funzionale (Fernandez 2011).


L’EMDR: LA PROCEDURA

ree

Per favorire una comprensione generale dell’intervento e una visione d’insieme ci soffermeremo sull’andamento generale del processo, tenendo conto che la procedura EMDR si compone di otto fasi e solo alcune di queste comprendono la stimolazione bilaterale alternata.


Ogni fase è concepita per favorire l’elaborazione del materiale traumatico e per massimizzare gli effetti del trattamento con una iniziale identificazione del problema, con rilievo alla storia di attaccamento e all’identificazione di eventuali traumi passati potenzialmente collegati al problema attuale. In linea con le terapie che utilizzano l’esposizione (per esempio, Flooding), viene valutata la possibilità di raggiungere una condizione di sicurezza psicofisiologica attraverso alcune tecniche di rilassamento (esercizio del “luogo sicuro” “tecnica del raggio di luce”), ma anche attraverso il rinforzo delle risorse personali, in modo che sia più sopportabile la quota di stress derivante dalla riesposizione al materiale traumatico. Quindi si procederà alla pianificazione terapeutica che contemplerà l’individuazione dei ricordi “target” (ricordo generatore o più rappresentativo) connessi al trauma, ma anche il riconoscimento degli stimoli scatenanti attuali che fanno emergere il disturbo (trigger), e di eventuali scenari futuri che possono attivare la sintomatologia. In ultimo, si definiranno gli obiettivi da raggiungere.


La parte centrale della procedura è quella in cui si accede al ricordo “target” precedentemente individuato ma, a questo punto dell’intervento, si costruisce con il paziente un assessment sul ricordo attraverso un’accurata articolazione di tutte le componenti cognitive, emotive, sensoriali e fisiche associate al trauma. L’assessment dei ricordi traumatici avviene senza la necessità, per il terapeuta, di ottenere i dettagli dell’evento e, ciò che ne risulta, è una scansione molto precisa dell’esperienza traumatica nei suoi elementi costitutivi. È con questa scansione che avrà inizio la fase di desensibilizzazione in cui si richiederà al paziente di focalizzarsi su tutti gli elementi del ricordo dell’evento precedentemente individuati. Egli è istruito a “lasciare andare la mente” e, semplicemente, a notare tutto quello che accade dentro di lui ed è invitato a non eliminare intenzionalmente le informazioni che emergono. È qui che inizia la stimolazione bilaterale che verrà somministrata in set brevi, scanditi da ricorrenti momenti di feedback in cui il paziente riferisce qualsiasi cambiamento nei pensieri, emozioni, immagini, sensazioni fisiche, come pure associazioni con altri ricordi e insight. Il terapeuta stimolerà la rielaborazione spontanea del trauma, intervenendo solo se strettamente necessario, in casi di abreazione[1] o di stallo del processo, ad esempio.


Quando il disturbo è notevolmente ridotto o eliminato, si favorisce l’integrazione di una “cognizione positiva”, ovvero quello che il paziente vorrebbe realisticamente riuscire a pensare su di sé mentre accede al trauma in oggetto (per esempio, una persona sopravvissuta a un terremoto potrebbe voler pensare semplicemente di essere al sicuro adesso). Anche l’installazione della cognizione positiva prevede la stimolazione alternata allo scopo di integrare il materiale mnestico originario con nuove informazioni che precedentemente erano inaccessibili emozionalmente e/o cognitivamente (Lipke 2000).


Nelle fasi finali del processo, va posta particolare attenzione a ogni indicatore corporeo che ci riveli la presenza residua di sensazioni negative mentre il paziente accede al trauma originario unitamente alla cognizione positiva. Se il paziente ha tensioni nel corpo si procederà ancora con i movimenti oculari, perché il disagio potrebbe indicare aspetti irrisolti del ricordo e potrebbero emergere altre informazioni disfunzionali dell’esperienza da elaborare. In chiusura di seduta si ristabilisce l’equilibrio emotivo e la sicurezza utilizzando il luogo sicuro prescelto. Coerentemente con tutta la procedura, il paziente viene invitato a monitorare ciò che accade tra una seduta e l’altra e a riferire successivamente tutto ciò che ha notato (pensieri, emozioni, sensazioni, ricordi, sogni) e che l’elaborazione ha attivato. L’inizio di ogni seduta di EMDR dovrebbe poi avvenire con una rivalutazione dell’opportunità di proseguire il lavoro sul target di intervento della seduta precedente o di uno spostamento del focus d’intervento.

Comments


Dott. Fabio Garzara


Dottore in Psicologia clinica e Psicoterapeuta
Iscr. Albo degli Psicologi del Veneto n. 10166

RICEVE SU APPUNTAMENTO
anche Sabato su richiesta

Dove ricevo

  • Venezia Centro Storico
    Cannaregio - 30121 Venezia (VE) 

  • Riviera XX Settembre n. 23
    30171 Mestre (VE);

  • Mogliano Centro vicino stazione FS con parcheggio gratuito
    31021 Mogliano V.to (TV).

+39 333 8120933
fabio.garzara@gmail.com

© 2025 Dott. Fabio Garzara | P.IVA: 04624260271 Tutti i diritti riservati | Farmed by Webidoo | Privacy PolicyCookie Policy

bottom of page