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Paradosso e comunicazione

  • Immagine del redattore: Produzione Webidoo
    Produzione Webidoo
  • 30 ago 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Dott. Fabio Garzara, psicologo-psicoterapeuta


Come si potrebbe definire il paradosso? È questo un concetto che, in diversi campi dello scibile umano, ha affascinato la nostra mente, il nostro pensiero. Molte conquiste della matematica, dell’epistemologia (che si occupa dei fondamenti delle varie discipline scientifiche), della logica e della stessa psiche, che è poi il campo che più ci attiene, sono strettamente connesse proprio con il paradosso e lo studio dello stesso.


Etimologicamente, il termine è di origine greca ed identifica tutto ciò che contraddice l’opinione corrente ma, la definizione di paradosso in senso più tecnico, legato cioè alle nostre specifiche competenze, è quella impiegata nella “Pragmatica della comunicazione umana”, di P. Watzlawick, J.H. Beavin e D.D. Jackson. Gli autori, membri della famosa Scuola di Palo Alto, California (USA), lo descrivono come «[…] una contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti».[1] Ciò fa riferimento in primis alla dimensione comunicativa e, a questa definizione, si collega anche il concetto psicologico di double-bind, tradotto in doppio legame o doppio vincolo e proposto da Gregory Bateson, uno dei fondatori della già citata scuola di Palo Alto. I doppi legami sono, proprio per la loro natura, dei veri e propri paradossi che impediscono la possibilità di poter agire in un modo quantomeno logico: danno la sensazione che qualcosa ci possa essere sfuggito, o che magari sia meglio fingere di aver compreso o, addirittura, sia preferibile chiudere i canali di comunicazione. In sintesi, nel paradosso, all’apparenza, non esiste una modalità di risposta o comportamentale che permetta di uscire da una situazione di stallo, ogni uscita sembra essere negata, non esiste alternativa e, il permanere di questa comunicazione, può far insorgere situazioni patogene.

Tra i vari esempi di comunicazione paradossale, ne presento sinteticamente qualcuno, che ritengo utile ed interessante:


  • Io sto mentendo: questo viene considerato come il primo paradosso in assoluto. Conosciuto anche come il “Paradosso del mentitore” è attribuito ad Epimenide, filosofo del VI° secolo a.C., e, in una semplice asserzione di tre parole, porta ad una sorta di cortocircuito per quanto il messaggio stesso esprime. Infatti, se vogliamo dare un senso logico a questa affermazione, questa sarà vera soltanto se non è vera, chi parla dice il vero solo se sta mentendo, ma mente se dice la verità;

  • Sii spontaneo ed altre varianti: altro paradosso che sembra innocuo e che, a livello-oggetto, appare chiaro nel suo contenuto ma che, a metalivello, fornisce un’ulteriore informazione che lo, disconosce e contraddice. Infatti, se mi comporterò come richiede il messaggio, la mia spontaneità, proprio per la sua intrinseca caratteristica, non potrà essere soddisfatta e d’altro canto, non esaudendo la sollecitazione, non soddisferò l’invito che mi è stato rivolto;

  • Cresci, diventa grande e comincia ad essere indipendente: qualche genitore si riconosce in questa esortazione rivolta ai propri figli? Ma se lui cresce come viene auspicato, in realtà non cresce, non si rende indipendente, perché in realtà ubbidisce come un bambino. E, per restare in questo contesto, quali riflessioni evocano le seguenti varianti sul tema?

  • Dovresti amarmi;

  • Vai pure caro, non preoccuparti per me, anche se piango;

  • Dovresti divertirti a giocare con i bambini così come gli altri padri.


Sono tutte ingiunzioni paradossali perché, chiunque le riceva, viene a trovarsi in una posizione insostenibile, in una situazione di assoluta indecidibilità, che è propria di una comunicazione con i due livelli in disaccordo tra loro.

Ultimo famoso esempio di comunicazione paradossale riguarda una madre che, il giorno del compleanno del figlio, gli regala due camicie, una gialla e l’altra rossa. Il figlio, anche per farla felice, indossa subito la camicia gialla e la madre, guardandolo con tristezza, gli chiede: «Quella rossa non ti piaceva?». Potete immaginare l’evolversi di una comunicazione di questo tipo, magari in concomitanza con altri fattori, se verrà reiterata nel tempo, perpetuandosi continuamente? Si può quindi presupporre che, posta in essere una interazione basata sovente su scambi come quelli appena evidenziati, inseriti in un contesto relazionale particolare, si assiste all’impossibilità di risolvere una situazione e viene a mancare la facoltà di scelta. Ecco, perciò, il crearsi di una situazione paradossale che potrebbe presupporre anche dei possibili sviluppi di tipo patogeno.

Ed è a questo punto che l’intervento terapeutico dispiega la sua efficacia, con la capacità di infrangere le regole di un’interazione a sfondo patologico che il sistema, la relazione, non riescono ad interrompere, per introdurre nuovi elementi di un possibile cambiamento. In questi casi, purtroppo, le esortazioni di impegno, di autodisciplina ed ogni esercizio di volontà, difficilmente possono avere caratteristiche di prescrizione terapeutica. Inoltre, «[…] è difficile immaginare che doppi legami sintomatici possano essere interrotti da qualsiasi altra cosa che non sia un contro-doppio legame, o che giochi senza fine siano portati a termine da qualcosa di meno complesso di un controgioco».[2]

Gli schemi di intervento si basano quindi su modalità comunicative e comportamentali che riporto sinteticamente:


  1. Usare il linguaggio del paziente è una tecnica di comunicazione proveniente dalla ipnosi ericksoniana che aiuta a ridurre l’iniziale resistenza al cambiamento del paziente;

  2. La ristrutturazione può essere intesa come una forma di suggestione comunicativa e una sottile tecnica di persuasione;

  3. Evitare le forme linguistiche negative nei confronti del comportamento o delle idee del paziente perchè le formule negative tendono a colpevolizzarlo, promuovendo reazioni di irrigidimento e di rifiuto;

  4. Uso del paradosso e della comunicazione paradossale: si parla di comunicazione interpersonale paradossale quando al suo interno sono presenti due livelli del messaggio contradditori tra loro. Proprio utilizzando in modo terapeutico il paradosso e la relativa comunicazione è possibile intervenire efficacemente su diverse patologie;

  5. Uso di aneddoti, storie e linguaggio metaforico è una tecnica anche questa di derivazione ericksoniana che permette la comunicazione di messaggi sfruttando la forma indiretta della proiezione ed identificazione che una persona attua nei confronti di personaggi e situazioni di un racconto.

Come già detto, il secondo modo d’intervento consiste nelle prescrizioni di comportamento, da utilizzare al di fuori della seduta, nell’intervallo di tempo tra un incontro ed un altro:


  1. Prescrizioni dirette sono quel tipo di indicazioni dirette e chiare di azioni da eseguire per la risoluzione del problema presentato, o per raggiungere uno dei progressivi obiettivi del cambiamento;

  2. Prescrizioni indirette sono delle ingiunzioni di comportamento che mascherano il loro vero obiettivo: si prescrive qualcosa con il fine di produrre qualcosa di diverso da ciò che è stato dichiarato o prescritto;

  3. Prescrizioni paradossali consistono nell’imporre lo stesso comportamento sintomatico nel caso di sintomi che si presentano in modo spontaneo ed irrefrenabile, quali coazioni a ripetere, ossessioni, comportamenti ostinati. In questo modo la persona si ritrova nella situazione paradossale di dover eseguire volontariamente ciò che è involontario ed incontrollabile, e che ha sempre tentato di evitare. Proprio l’esecuzione volontaria del sintomo annulla il sintomo stesso.

BIBLIOGRAFIA


SELVINI PALAZZOLI M. et al., Paradosso e contro paradosso, Milano, Cortina Editore, 2003.

WATZLAWICK P. et al., Pragmatica della Comunicazione Umana, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1971.

WATZLAWICK Paul – NARDONE Giorgio (Edd.), Terapia breve strategica, Milano, Cortina Editore, 1997.

WATZLAWICK Paul – NARDONE Giorgio, L’arte del cambiamento, Milano, Salani Editore, 2007.

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Dott. Fabio Garzara


Dottore in Psicologia clinica e Psicoterapeuta
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